
Il mio viaggio di incontri con i miei personaggi expats inizia da qui. Porto. Avrei potuto iniziarlo così tanti anni fa, ma chissà, forse dovevo iniziare proprio da qui, da oggi, dalla storia di Paolo.
Porto è piena di spagnoli, che quasi mi sembra di non aver mai lasciato Barcellona; fa strano, ma mi sento meno sola. Già dimenticavo, sarà la mia prima Pasqua “sola” in un posto nel mondo. Eppure io mi sento così piena di gente simile a me; qui, con uno scopo, qui per riscoprirsi, in cerca di qualcosa o magari solo per mangiare il bacalao.
Arrivo a Porto il 31.03.18 e non so nemmeno dove sono. Ho una valigia scassata e mille aspettative insieme a me. Non ho una mappa della città o idea di come si raggiunga il centro dall’aeroporto, non parlo nada di portoghese, ma già mi hanno scambiato mille volte per “una di loro”. C’è una metro comodissima che collega l’aeroporto al centro città; devo ammettere che non pensavo Porto fosse dotata di trasporti pubblici così evoluti, pensando che a Palermo stanno ancora tentando di costruire UNA linea metropolitana.
Mi preme scrivere qualcosa sulla bellezza e l’unicità di questa città. Per chi mi conosce, si sa, io mi meraviglio per tutto e di tutto, ma Porto mi ha lasciato davvero senza parole e l’ho trovata davvero diversa dalle altre città finora visitate. La lista di quelle che mi mancano è ancora lunga, ma con un po’ di risorse monetarie potrò sfoltirla e potrò raccontare di tanti altri expats nel mondo.
In questo capitolo, però, Parto per Porto.
Mi guardo intorno e la città che ha scelto Paolo è piena di graffiti e sembra gridare voglia di rivalsa, di riconquista, di rivoluzione. Guarda caso, il giorno che ho preso parte ad un free walking tour, la mia guida Naomi (scozzese, con delle scarpe troppo usurate dalle mille camminate o forse dal fatto che appena chiede “un piccolo contributo” alla fine del tour, la gente disappear out of the blue), ci racconta che nelle storia del Portogallo, ogni rivoluzione è sempre iniziata dalla ribelle Porto e dalla sua gente incazzata e tenace. Si respira quell’atmosfera di chi ha ancora molto da dire, di chi ha ancora tutto da scrivere, di chi vuol voltare pagina ed è disposto a tutto per far sì che Porto abbia il futuro che merita. Esco da quella moderna metropolitana e mi sento 50 anni indietro nel tempo. A breve, spiegherò il perché.
Paolo lo incontro in un bar vicino il mio airbnb, si chiama Pipa Velha (link: https://www.tripadvisor.it/Restaurant_Review-g189180-d6765551-Reviews-Pipa_Velha-Porto_Porto_District_Northern_Portugal.html) e lo lascio aspettare per dieci minuti perché, nonostante fossi l’unica inquilina, riesco a far saltare il contatore della luce con una mini piastra per capelli. Cristiana, la mia host fa un blitz improvviso che manco la polizia (grazie ad una videocamera da stalker professionista installata dentro casa) e si materializza lì. E’ divertente comunicare in due lingue, lei mi parla portoghese, io capisco e le rispondo in spagnolo. Andiamo avanti così, mentre Paolo attende senza sapere che da lì a breve mi avrebbe raccontato la sua storia. Io fremo dalla curiosità e non vedo l’ora che Cristiana sparisca con la stessa velocità con cui è apparsa, ma ha voglia di chiacchierare e io non so come farle capire che TE NE DEVI ANDARE SEÑORA.
Paolo mi aspetta in un angolino, riparato dal vento (che a Porto ti soffia via pure l’anima). Ci guardiamo per un istante e capiamo che ci stiamo cercando. Non c’è imbarazzo e subito passiamo al dunque: vino e cibo e’ sempre un ottimo. Ordiniamo da mangiare cose indefinite e discutiamo sui vini di Porto, perché alla fine – ogni conversazione piacevole, inizia sempre davanti ad un buon bicchiere di vino-. Discutiamo delle cantine che producono il vino Porto che da anni si contendono il mercato e l’altra sponda di Porto, chiamata Gaia (rif: mentre la prima parte del sintagma (Portus) rimane nel nome dell’attuale Porto, sulla sponda destra del Douro (fiume che divide Porto), la seconda parte resta sulla sponda di Gaia, la località situata di fronte a Porto, sulla riva sinistra dello stesso fiume, ufficialmente denominata Vila Nova de Gaia.
Ci troviamo d’accordo su come sia triste che queste antiche cantine con riserve di vino pregiato siano oggi, principalmente, di proprietà di investitori e/o fondi francesi o inglesi; basti pensare che vi sono cantine chiamate: Sandeman, Offley, Taylor’s, Kopke e Graham’s. Tuttavia, scopro che anche cantine che mantengono il nome prettamente portoghese come Ramos Pinto, sono in realtà di proprietà francese (link: http://www.ramospinto.pt/). La visita della cantina però è stata incantevole, con assaggi di vino Porto di tipo White e Tawny (n.b. altro riferimento inglese).

Un’altra parentesi che mi preme raccontare e che spiega la mia sensazione di essere 50 anni indietro nel tempo, si apre quando Paolo mi racconta di “Worst tour”, dunque il peggio di Porto (link : https://theworsttours.weebly.com/).
Mi parla di un’associazione di architetti ed artisti locali che mettono a disposizione il loro tempo e le loro conoscenze per mostrare ai più curiosi i luoghi meno convenzionali di Porto, quelli che i turisti evitano o che gli vengono fatti evitare dalle guide per parlare delle “cose belle”. Non è tutto oro quello che luccica mi ricorda Margherita, la guida del mio Worst tour. La crisi economica a Porto ha decretato l’abbandono di numerosi immobili: da case, a centri commerciali, a negozi. Ci racconta che le persone del posto, nell’ottica di rivendere questi immobili tra 5-10 anni a prezzi maggiorati sul mercato, hanno chiuso, dismesso, abbandonato migliaia di case e vari edifici, appunto, per rivenderle a investitori stranieri che si stanno avvicinando con maggiore insistenza anno per anno a questa – città dimenticata da Dio – come la definisce Margherita. Dunque, non è affatto strano vedere, in particolare al centro di Porto, case in totale declino, lasciate a marcire, alle intemperie delle stagioni. Ciò, comporta tutta una serie di problemi che non è mio intento discutere in questa sede, ma voglio raccontarvi di un posto (suggeritomi da Paolo) che è segno della rinascita, della voglia di far sì che questa città, Dio se la ricordi e che la gente sappia, parli, faccia propaganda su ciò che accade a Porto. Come menzionato in precedenza, vi sono in particolare centri commerciali in costruzione, mai terminati, ed altri invece abbandonati. Porto però, città di artisti e di spirito rivoluzionario per tradizione, ha lottato grazie ai suoi abitanti per la riapertura di un centro commerciale dismesso, nell’intento di trasformarlo in un centro di ritrovo, di condivisione di idee, di creatività per i suoi giovani artisti locali.
Oggi questo centro commerciale, che da fuori sembra totalmente abbandonato, è di nuovo in uso e vi sono circa 200 salette di registrazione per ragazzi dalle età più disparate, dove fanno musica, si dilettano o creano nuovi pezzi che faranno la storia, chissà. Oggi STOP, nome del luogo, è centro pulsante di creatività musicale della città di Porto, è sfogo per tutti coloro che hanno qualcosa da dire, e possono farlo grazie alla musica e grazie a coloro che hanno sostenuto, lottato e portato avanti questa causa. Porto è viva, ed è bene che si sappia.
Ad un certo punto della mia chiacchierata con Paolo, mi rendo conto che, nonostante le sue origini calabresi, Paolo ha quasi del tutto perso il suo accento. La domanda mi sorge spontanea e dunque gli chiedo cosa o chi l’ha condotto a Bergamo. Mi risponde – I miei sogni – rimango estasiata dalla naturalezza di quella risposta e – la curiosità di vedere cose nuove, che poi è la stessa motivazione per cui mi sono trasferito a Porto. – aggiunge. Gli chiedo mille cose e lui mi racconta della monotonia, nonché, la disorganizzazione dell’azienda dove lavorava, che l’hanno spinto alla ricerca di una nuova sfida. Ha provato a trovare una soluzione, a mettere a posto i pezzi del puzzle, ma la voglia di evadere ha prevalso ancora una volta, come sedici anni fa, -perché infondo non c’è un’età giusta per riprendere in mano la tua vita e stabilirti altrove-. Altrove. Questa parola rimbomba nella mia testa da giorni e quando Paolo la pronuncia, penso che “altrove” è davvero un posto così indefinito; un giorno è Bergamo, quello dopo può essere Porto. Eppure, come in tutte le belle storie, scorgo un po’ di amarezza nelle sue parole; Paolo mi parla di quanti cari amici ha dovuto lasciare, o meglio, la sua famiglia di amici, la sua casa, i suoi effetti personali.
Così, un giorno di Marzo, Paolo, 36 anni, raccoglie, finalmente, tutti i pezzi del puzzle, della sua vita; alcuni li vende, altri li regala – Non volevo sentirmi attaccato alle cose materiali – mi dice, così se ne disfa; mette tutto il resto in qualche valigia, dei vecchi scatoloni e si prepara ad un viaggio di 20 ore sulla sua Alfa Romeo. Impacchetta così, sedici anni della sua vita a Bergamo e lascia il bel Paese che l’ha deluso e spinto ad andar via; e insegue i suoi sogni a bordo di una macchina, dove in pochi metri quadrati, ha ciò che ha scelto di portare con sé e ricominciare “altrove”.
E’ il giorno 02.04.18, è il giorno di Pasquetta ed io non sono affatto sola. Sono con Paolo, in un bar con troppa puzza di fumo e mi sento parte del suo viaggio. Forse ero con lui in quelle 20 ore di macchina, in cui nemmeno la pioggia torrenziale, la fame, l’autostrada di 170 km senza curve, la stanchezza hanno fermato Paolo.
E’ il giorno di Pasquetta e mentre i nostri amici arrostiscono mille varietà di carne e salsiccia, giù in Calabria e in Sicilia, noi siamo qua, con 10 anni di differenza d’età che a noi non pesano affatto, seduti con un “vino verde” (altro vino tipico di Porto) e ci raccontiamo chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare. La naturalezza delle nostre parole che scorrono a fiumi senza mai fermarci, è disarmante, è una connessione incredibile ed è bellissima. Forse, perché si vive il momento di story telling con uno sconosciuto, con la consapevolezza che tutto ciò che diciamo, non ci si può rivoltare contro, non ci si può ferire, non può far male.
E’ il giorno 02.04.18 ed io e Paolo ci siamo raccontati dei nostri sogni e della nostra voglia di non “conformarci agli standard che ci impone la società”, al – dai 30 anni in su devi iniziare a mettere su famiglia- o ancora – c’è bisogno di stabilità ad una certa-. Ma perché? Ma chi l’ha detto? E chi l’ha detto che due sconosciuti non possano sedersi il giorno di Pasquetta in un bar e raccontarsi reciprocamente storie di chi non si è arreso alla monotonia lancinante delle nostre vite; a vite standardizzate, preconfezionate, omologate che ci vengono imposte perché – è giusto così-. Vite paralizzate dalle responsabilità, dalla paura di cambiare, di fallire, di disfarsi del vecchio e accogliere il nuovo, nella tua vita altrove. Paura di cadere e pentirsene.
Che poi, come ha detto Paolo: “Devi sempre un po’ morire, per poter rinascere”.
Paolo, per me, è la storia di un vincente, di chi è caduto in un limbo di pressioni mediatiche e preconcetti della società, ma ha avuto la forza di risorgere, SI a 36 anni, da quella morte interiore che a volte ci assale e oscura ogni via di fuga. Parlo di morte delle idee, della nostra creatività, dei nostri desideri, del nostro voler essere semplicemente felici altrove, perché questo mondo è troppo grande e troppo bello per nascere, crescere e morire nello stesso posto. E se decidi che –è giusto così-, beh è la tua di vita, mica la mia.
Il giorno 02.04.18, Paolo e la sua storia mi hanno fatto compagnia e hanno innescato in me nuovi spunti di riflessione.
Il giorno 02.04.18 mi sono sentita più ricca del giorno prima, grazie a Paolo (36, Reggio Calabria). Ovunque vada “altrove” nel mondo, c’è sempre un Paolo come me, o come te che leggi. Caro Paolo, grazie per esserti raccontato.
Per suggerimenti di tipo culinario raccomando Pastel di nata, e per le crocchette di baccalà: Casa Oriental do Pastel de Bacalhau (foto)

Eviterei la Francesinha (foto) se non avete troppo fame o se non vi piace la cucina pesante. Per il resto, pesce a volontà. Idem per il vino.

Se ve lo state chiedendo, il costo della vita a Porto è decisamente basso, se si pensa che un portoghese medio al mese vive con 580 euro, 600 euro se sei proprio fortunato.
-Perché quando fa tutto schifo, inizi ad apprezzare, le piccole fortune della vita – Margherita (nata a Porto, architetto, 33 anni).
C.
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