Lisboa, culla di colori & incanto

Per anni ho desiderato conoscere il Portogallo. Per qualche strana ragione non sono mai riuscita ad andare prima. Chissà, forse dovevo arrivarci con la giusta maturità per far mio ogni piccolo dettaglio di questa città che trovo unica. Ricca di incanto. Con una sua personalità.

Fase atterraggio. Guardo giù, la terra sotto i nostri corpi sospesi per aria e la vista è davvero mozzafiato. La reazione immediata è chiedersi se il tempo a Lisbona si è davvero fermato. Se sto atterrando in un mondo parallelo, immacolato, graziato dalla mano dell’uomo. Bellezza inossidabile. Colori caldi che mi scaldano il cinismo e distacco che a volte mi appartiene per proteggermi. “Voglio vivere qui”, penso. E non sono nemmeno atterrata.

I giorni successivi non faranno altro che confermare quella sensazione iniziale.

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Questa volta non sono sola. Mi ospita E. un’amica di vecchia data. Eppure sarei anche pronta a scoprirla da sola questa città. E’ del tutto accogliente, ti trasmette pace e allo stesso tempo ti rapisce con una voracità che ti confonde. Un vulcano di emozioni. Non può essere una sensazione solo mia. Se non fosse così, sarebbe meglio che la gente iniziasse ad emozionarsi. Non c’è nulla di male eh!

Il primo giorno lo passo così, ad innamorarmi. Poi E. mi porta a cena, dopo aver fatto su e giù per cento scalinate, per svariati minuti che a me son sembrate ore, mentre continuavamo a perderci e la fame ci assaliva. Finalmente arriviamo in questo posto. Un ristorante di nicchia portoghese, dal nome Loucos de Lisboa.

Ordiniamo le più svariate quantità e versioni di come mangiare formaggio. Esempio: bruschette ricoperte di formaggio, formaggio con uva, marmellata e noci, formaggio e patate ecc. A fine serata dopo la sbronza, dovuta ad una bottiglia di Vino verde, ci rendiamo conto che tutto quel formaggio non è altro che una versione della nostra ricotta, che noi italiani neanche ci caghiamo (sempre e solo sia lodato il parmigiano!). O meglio, non ne facciamo un business come ne fanno i portoghesi.

Iniziamo a disquisire di formaggi e all’improvviso ci ritroviamo al mirador di Lisbona: Nossa Senhora do Monte. Quello preferito da E. La conversazione prosegue ed improvvisamente mi rendo conto che dal formaggio, siamo finite a parlare delle nostre rispettive vite amorose. Se mai fossero esistite davvero. La serata termina in un fiume di parole, un vortice di aneddoti, un flusso di energia positiva, una spirale di confidenze e racconti di storie delle nostre vite da persone curiose.

E’ stupefacente pensare come un viaggio in una città del genere, possa avvicinare tanto due persone. Viaggiamo sulla testa lunghezza d’onda. Lisbona ci regala la giusta sinfonia, sintonizzata sulle note dei nostri essere, così lontani e all’improvviso così vicini.

Andiamo a dormire stanche, ma leggere. Ci siamo raccontate 6 mesi di vita, riassunte in una sera.

Il giorno 2 parto alla scoperta di Lisbona, armata della mia macchina fotografica, un telefono senza internet, uno zaino troppo piccolo e delle scarpe troppo bianche. E’ ora di battezzarle!

Passiamo la giornata a infilarci tra i vicoli stretti, quelli un po’ inquietanti, dove i turisti non vanno, dove c’è odore di bucato appena lavato e poi, girando l’angolo, rimani inebriato dall’odore di cipolla fritta. Abbiamo fame e ci infiliamo nella classica bettola da battaglia dove il cibo più è ricco di olio più è buono.

Per la prima volta assaggio il bacalao, letteralmente, affogato nell’olio e circondato da ceci e patate. Per evitare la terza guerra mondiale nel mio stomaco, mangio la giusta quantità di bacalao e divoro i ceci, accompagnando il tutto con del buon vino della casa. E’ tutto così rustico, devi ordinare due volte, allo stesso cameriere, prima che apparecchino il tavolo o ti portino il menù o una bottiglia d’acqua. Aneddoto divertente: arriva il cameriere con una tovaglietta di carta, che servirà per apparecchiare il nostro tavolo, ovviamente trasportata sotto la sua profumata ascella. Lascio ai più schizzinosi l’ardua sentenza. Noi ci siamo dette “massì, torneremo comunque!”. Ma non si può pagare con carta. Sembra banale, ma a Lisbona non è una forma abituale di pagamento. Ed è bello così, per le banche. Lascio 4 euro di commissioni alla mia ad ogni prelievo.

Il resto della giornata lo trascorriamo nell’inutile tentativo di digerire quanto ingurgitato a pranzo. La cara E. pensa bene di trascinarmi su e giù per la città, tra un mirador e l’altro, il castello, una zona di graffiti e altre 3000 scale mentre io, goffa, gonfia e con mille cose in mano, fotografo tutto. In continuazione. Non voglio perdere un solo dettaglio di questa città immensamente colorata. Magica.

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Il giorno 3 incontro il mio amico expat, J., a cui dedico questo capitolo. Esempio di infinito coraggio, e passione indescrivibile per ciò che ama. Lotta infinita per riuscire ad essere “WHO I AM MEANT TO BE”, mi dice con il suo dolce accento francese.

J. è di un piccolo paesino francese di cui continuo a dimenticare il nome, anche se è inglese di adozione. Genitori insegnanti di inglese, tifoso dell’Inghilterra piuttosto che della Francia, non ha nemmeno festeggiato per i mondiali vinti recentemente. Viveva a Londra da 5 anni. O almeno io l’avevo lasciato lì, quando dissi addio alla mia vita londinese. Ed oggi lo ritrovo qui, a Lisbona. Un anno dopo il mio farewell.

“Chi sono destinato ad essere”. Questa frase mi rimbomba nella testa e genera caos. Genera un grido di rabbia dentro di me e un’infinita tristezza, per chi non sceglie chi essere, per chi l’etichetta, il ruolo, l’aspetto glielo si applica così, di default direbbe il mio capo. Tanto per averne una. Tanto per aver un destino. J., invece, mi dice, io a 30 anni ho mollato tutto perché la vita è solo una. Mi racconta che era felice a Londra e lo so, perché c’ero io lì con lui e amava tutto di quella città (al contrario di me). Ma poi, fa una breve pausa e dice “Non mi bastava più”.

Lo ascolto affascinata e mi dico, che ci vorrebbero davvero più J. nel mondo.

Sento troppo spesso frasi come:

  • Mi basta così
  • Ci si deve accontentare
  • Non puoi sempre nutrirti dei tuoi sogni
  • La mia vita è piatta, non so come uscirne

Parlate con J., che ha lasciato il caro posto fisso, che Londra poteva bastargli, che poteva accontentarsi di essere un insoddisfatto impiegato di un’azienda giapponese. Parlatene con J. quando per uscire dal quel “limbo di piattezza”, l’unica cosa che aveva davvero senso, ERA NUTRISTI DEI SUOI SOGNI. Il sogno di diventare un pilota di aerei di linea.

Ebbene si, un pazzo, un pazzo per cui nutro profonda stima. Perché “è stato sempre il mio sogno fin da bambino diventare pilota, però con le pressioni dei miei genitori, del fare – le scelte giuste-, non l’ho mai davvero considerata come una possibile carriera”.

…dunque mi chiedo, perché ci sono davvero delle scelte giuste? Mica lo sappiamo a priori che saranno le scelte giuste. Eppure, c’è sempre dopo lo stronzo/a che ti dirà “hai visto te l’avevo detto che questa era la strada giusta per te”.

Bhe J., 30 anni, più inglese che francese, ha deciso di fare la scelta che per tutti è più sbagliata, la più infelice, la più rischiosa, quella che richiede una maggiore dose di “rimettersi in gioco”, quella che -ripartire da zero in un paese dove nemmeno parli da lingua-.

…Eppure per lui, questa era l’unica scelta possibile. L’UNICA OPZIONE RIMASTA. Si, rimasta troppo tempo chiusa, schiacciata, nascosta, in un fottuto cassetto.

ERA RIMASTA L’UNICA COSA GIUSTA DA FARE.

Mi racconta tutto questo dopo una meravigliosa giornata trascorsa a Sintra, ribattezzata da me “il bosco degli elfi”. Decisamente ottava meraviglia del mondo.

E quando a fine giornata siamo sdraiati sulla spiaggia a guardare l’oceano che con le sue onde giganti, ci fa tremare di piacevoli sussulti, Julien ed io sappiamo che, un anno dopo, siamo diversi, sappiamo che siamo cambiati, che nessuno dei due vive più a Londra. Non c’è più lo Shard che ci guarda dall’alto, o London Eye che ci saluta, né il Big Ben che scocca le sue lancette e ci ricorda che sta per iniziare la rush hour e già sai che devi rassegnarti all’ennesima cena delle 10pm.

Ecco, alla fine della giornata sappiamo che tutto doveva andare così, che dovevamo fare delle scelte, che Londra non era più il mio posto, così non come non era più il suo.

Allora, io & Julien abbiamo scelto di rincontrarci a Lisbona.  IL POSTO GIUSTO.

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Obrigada Lisboa!

C.

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