Granada Gateway

C’è un posto che, senza ombra di dubbio, merita uno spazio in questo blog: la Andalucia, la terronia della Spagna. Questa tappa é chiamata: Granada!

Alhambra

Parto in macchina con alcuni amici un venerdì dell’ otto marzo, 2020. Lascio alle mie spalle una Barcellona con aria di rivoluzione.

Sono partita con J., il mio vecchio coinquilino, ed Ax., il suo attuale, più un ragazzo di blablacar.

Con noi poche borse e tanta adrenalina di chi viaggia insieme per la prima volta. J. conduce la Audi A4 che abbiamo affittato peggio di mia nonna e così l’adrenalina se ne va farsi fottere dopo 30 minuti bloccati nel centro di Barcellona perché -“Io so come uscire”- é la frase che J. a ripete ma Ax ed io abbiamo smesso di crederci dopo esser passati davanti lo stesso semaforo per 3 volte.

La prima tappa é Murcia.

No, no é parte del nostro itinerario. Siamo soli andati a lasciare A., il ragazzo di blablacar. Sono le 24:00 e noi abbiamo ancora due ore di strada per Granada, anzi per essere precisi per Motril, cittadina d’origine di J.

Alle 2:00 vengo improvvisamente svegliata da una tipa estremamente euforica. E’ un amica di J., Serena, che salta dentro l’auto lodando la figaggine di quell’auto noleggiata, mentre J. si atteggia all’idolo del quartiere. Io la osservo mentre spero di poterla magicamente far scomparire con la vista, perche’ si sa, mai svegliare un toro che dorme. Ma lei continua a civettare, disturbando il mio prezioso sonno che saluto definitivamente quando inizia a mettere la musica a tutto volume. La mato. Sta rischiando grosso.

Ci svegliamo a Motril con l’odore di caffè che inebria la casa. Ancora tutti dormono ed io sono la prima ad addentare un “bocata” con pomodoro, formaggio e jamon serrano, mentre la mamma di J., Maria, mi racconta piccoli aneddoti dell’infanzia di J. Quando lo vede arrivare in cucina, sussulta dall’emozione, come se avesse perso l’abitudine al risveglio in famiglia. Ed é proprio così. Lo abbraccia e lo bacia come fosse un bambino in tenera età ed esclama “oh hijo mio, como te he echado de menos”. Lui ricambia l’abbraccio imbarazzato, ma si scioglie e vedo come la solleva delicatamente e le fa fare una giravolta. Questo momento lo chiamo: l’abbraccio, quello che resta ad un expat ogni volta che torna e ogni volta che va via. L’abbraccio di una madre che sa che non gli/le preparerá la colazione tutti i giorni né gli dirà quanto ne ha sentito la mancanza. C’è consolazione in quell’abbraccio, conforto e anche un pò di perdono. Perdono perche’ le tue ambizioni che erano troppo grandi per rimanere a Motril a ubriacarti nell’ unico bar aperto oltre le 24:00 con Serena. E va bene cosi’.

Ci dirigiamo a Granada città e il primo stop é al Garden, un bar di tapas giganti e fiumi di birra. Basta ordinare da bere e la tapa viene gratis. Inutile dire che ti riduci in uno stato di coma da cibo e birra che dopo ci vuole una gru per portarti via e che la siesta dovrebbe venirti inclusa nel prezzo con brandina e digestivo sul comodino.

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Altra cosa da sottolineare é la quantità di addii al nubilato/celibato a Granada. Uno ad ogni angolo. Festa ad ogni bar. Flamenco ballato nelle piazzette. Si respira un’ atmosfera di chi vive dei dolci piaceri della vita. Ax. & io passeremo una notte lì, mentre J. tornerà da mamma Maria.

Facciamo il check-in in un ostello costato 10 euro una notte e ci avventuriamo alla volta dell’Alhambra. Il caldo é afoso, ed é solo il 10 di marzo. Ax ed io giriamo in outfit da pieno verano mentre schiviamo la miriade di turisti da tutto il mondo.

L’ Alhambra é un incanto per i miei occhi. Osservo con minuziosa attenzione quanto ci é stato lasciato dal passato e come, egregiamente, siamo riusciti a conservare palazzi con  giardini immensi. Mi perdo tra i graffiti arabi mentre scatto foto per immortalare cotanta bellezza. Temo que la mia constante meraviglia mi faccia perdere lucidità, così mi immergo in quei mille colori che catturo con la mia macchina fotografica usata troppo poco. Sono rapita mentre osservo Granada dall’alto. Poi all’improvviso una vocina, é una vecchietta. Inizia a raccontarmi in uno spagnolo che faccio fatica a capire (non ha i denti!) di come é cambiata Granada. Delle cose distrutte nel tempo e di altre mantenutesi in piedi. Eppure dice, lei ha sempre vissuto lì, immersa nel verde di quelle stradine medievali, coltivando la terra, la sua, sottolinea. Questo momento lo chiamo: radici. Quelle che un expat non dimentica mai, ma non vede come tutto cambia nel tempo. La vecchietta senza denti invece non si é mai allontanata da lì.

Ax. ed io siamo stanchi e andiamo su e giù per la città ininterrottamente, mentre la miriade di turisti ci travolge. Consigli per l’uso se pensi di portarti i tacchi a Granada o sei asmatica:

  • SALVA SPAZIO PER QUALCOS’ALTRO. Granada é piena di sali e scendi e i tacchi potrebbero essere il tuo peggior incubo.
  • SEI SEI ASMATICO/A PORTATI UNA SCORTA DI VENTOLIN. Just in case!

Mentre ci aggiriamo per i viottoli, vediamo un distributore di acqua e caffé. Entriamo assetati e stanchi e solo sognamo di bere dell’acqua gelata. Ad un certo punto, qualcosa mi distrae – di sottofondo una canzone familiare. É Laura Pausini, esclamo! E dentro di me penso, che “cazz ci fa Laura Pausini allietandoti mentre bevi como un cammello l’acqua di un distributore?!” Ed ecco, che entra in scena la terza vecchietta di questo episodio. Non si presenta ,però inizia a canticchiare insieme a Laura, fin quando non ci racconta che lei vive lì. Si, dentro il distributore! Una stanza della sua casa ha deciso di adibirla a stanza aperta al publico dove le persone vengono a rifocillarsi comprando acqua e merendine da un paio di distributori, mentre lei canticchia e gli racconta qualche storia. Capisce che sono italiana ed inizia a raccontarmi dei suoi viaggi in Italia, mentre io l’ascolto attenta. Dice “Laura é la mia passione, tutti i giorni l’ascolto e voglio che l’ascoltano anche i turisti quando vengono qua a bere”. Questo momento si chiama “abitudini”. Ovunque l’expat vada ne porta sempre una parte con sé. Alcune  cambiano altre restano, ed il cambiarle ti fa capire quante cose inesplorate esistono ancora dentro il tuo mondo fatto di routine e di quante “Laura” nel mondo possono esserci ancora da ascoltare.

Inizio a domandarmi se i vecchietti di Granada abbiamo qualcosa di speciale o sono io che attiro quelli teneri.

Finalmente é sera e torniamo a respirare come persone normali dopo tanta afa non ci resta che ingozzarci e bere. E BERE! Cucina araba! Il posto in cui andiamo é magnifico ed Ax. ed io ci ritroviamo dentro un ristorante tipico marocchino un po’ per caso, dopo mille giri tra sali e scendi.

Troviamo questo ristorante arabo e quando entro mi sembra di non essere in Spagna, é ricco di colori e sapori. Siamo a Marrakesh?! Ordiniamo cous di carne e una limonata. Che razza di mix ?! Bhé ce lo consiglia direttamente il proprietario del ristorante/cameriere che parla 5 lingue. Cosí decide di lanciarsi in italiano. Cavolo se lo parla bene! Ci racconta in fretta, servendo un tavolo en un altro, come ha imparato l’italiano, il portogese, il francese e lo spagnolo. Poi dice “Peró casa mia é sempre una”. Questo momento lo chiamo “ammissione”. L’expat può decidere di viaggiare, lavorare fuori per anni, tornare ogni 10 anni. Però casa é una e sola. Dove tutto é iniziato.

La parte più assurda del viaggio accade quando J. chiama Ax e gli comunica “La macchina non funziona, non si accende!”. Sono le 16:00 e ci aspettano 13 ore di viaggio. Vedo il panico negli occhi di Ax e chiedo “Che succede?”. Ax temporeggia, io sclero. Dimmi che succede! Ax accangia e io penso – si sarà schiantato da qualche parte. help! Ma no. Ax fa un respiro profondo e dice: “Ti ricordi della nostra macchina in affitto super lusso con chiave elettronica ecc.?- Io:si, è distrutta?. -No, non si apre, c’è un inibritore di frequenza e non si apre la macchina. J. ha parcheggiato di fronte una stazione di polizia. Impallidisco e dico – E ora che si fa?. J. spiega che la polizia non ha voluto disattivare l’inibritore per consentirgli di aprire la macchina e che non resta che chiamare il carro attrezzi affinché sposti la macchina sufficientemente da consentire l’apertura con il telecomando elettronico. Il carro atrezzi tarda mezz’ora e noi abbiamo quasi perso le speranze, quando J. chiama esclamando euforico ” Ce l’ho fatta, dopo mille tentativi é partita nonostante l’inibitore!Arrivo!”. Menos mal!

Fu cosí che dopo attimi di panico e 13 ore di viaggio arrivammo a Barcellona alle 4:00.

Il viaggio di ritorno fu un’ odiessa, ma questa é un’altra storia.

Granada hasta pronto!

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