Andalucia, the Sound you need

Eccoci qua, sono arrivata. Allaccio le cinture, sistemo bene il sedile. Alla radio una canzone un po’ scema di “Carolina Durante”. La mia compagna d’avventura, oggi anche guida. Tutto è perfetto. Fremo dentro di me. Sono in “terronia”, si sono tornata. Questa volta andrò a Cadiz e alla scoperta della provincia di Malaga. Nella mia borsa porto con me la mia fedele crema da mare, che poi userò meno del previsto. Delle salviette per asciugare il sudore provocato dall’afa del posto. Un libro che non ho mai aperto. Odio volare in aereo, non riesco a concentrarmi. Ho il mio diario con me, faccio una lista un po’ strana, La chiamo “Le “cose che odio di me”. Ci suonano al semaforo perché Z. ritarda la partenza. Insulta qualcuno. Rido. Carolina durate rimbomba nell’auto. Una madre grida al proprio figlio “cuidado!”. Il cuore batte forte. Rombo di motori. Z. da gas, si parte. Andalucia, the sound you need!

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Voglio lasciarmi cullare da quelle note. Quelle vibrazioni. Quella sensazione di esser già stata qui in un’altra vita. Come se questo posto l’avessi già vissuto. Z. ed io ci addentriamo tra le vie. Il nostro hotel è una bettola. Ho toppato ancora. Non resta che passare più tempo possibile fuori. La luce ci acceca. Il caldo si fa afoso. Ordiniamo del vino e delle olive.  Il cameriere è simpatico, ci intrattiene.  Lo capisco poco. Parlano “strano” qui. È tutto così pittoresco. I gabbiani ci disturbano mentre mangiamo. Stuzzicano i nostri rimasugli, insieme ai piccioni. Nessuno sembra prestar loro attenzione, io si. Mi danno fastidio. È tutto così familiare.

Alcuni punti della città sono poco curati e le strade si fanno strette e sinistre. Un tizio all’improvviso mi chiede se voglio comprare del “cioccolato nero”. Penso che deve essere qualcosa di tipico qui, ma Z.  mi dice subito che mi sbaglio. Si riferiva a qualcosa che non si mangia. I bambini vanno in giro soli per le strade ed i vecchietti stanno ore e ore a chiacchierare seduti davanti all’uscio della porta. Osservano i passanti, i turisti, le persone di qui. Noi.  Devono chiedersi se ci conoscono, devono farlo con tutti e poi rigorosamente risalire a tutto l’albero genealogico. Rido. Poi ci addentriamo in un antico caffè Rinascimentale. Rimango imbambolata a guardare i particolari di questo posto incantato, i pezzi di antiquariato. Lì dove un tempo andava la alta società gaditana a sfoggiare i propri averi,  a parlare di affari e degli ultimi partici politici che si sgomitavano per farsi strada verso il potere. Oggi, però, ci sono io con una gaditana. Abbiamo molto in comune. Veniamo entrambe da una terra martoriata, mutilata, corrotta,  abbandonata a se stessa.  Dove tutti vivono bene con quel poco-tanto che hanno. Il mare fa la differenza. Dicono.

Ogni giorno il mare pennella la riva con le sue onde, il vento l’asciuga e la ribagna. Senza sosta. I bambini perdono il conto delle stagioni, dei giorni, dei minuti. Le madri li rimproverano, mentre i padri guardano in TV la Spagna che gioca l’ ennesima amichevole estiva. Mi siedo su un muretto. Respirò profondamente. Mi guardo attorno e sento rumori. Un mix incomprensibile. Diventa assordante. Mi chiedo cosa mi stia succedendo.

Poi, in un attimo il silenzio. Un tonfo.

Le note di una canzone vengo da un bar. “Rotolando verso sud” dei Negrita. La riconosco. Ed in un attimo so che mi ricorda Cadiz. Ho capito. Cos’era tutto quel sound. Era Trapani, casa mia. Ecco a cosa si somiglia questa terronia andalusa.

Il nostro arrivo a Tarifa é l’ ennesimo tuffo nei ricordi. Il vento soffia che neanche fossimo dentro un ventilatore. Sono tutti ben vestiti, profumati e pettinati. Pronti per far festa. Così come noi. Mangiamo una pizza e passeggiamo per i negozi estremamente cari del posto. Rimarremo a mani vuote, ma a pancia piena. Sono felice. Guardo quel tramonto, finalmente, sul mare, che a Barcellona non tramonta mai e sono felice. Non ci vuole molto. Dammi una birra, una buona compagnia ed un bel tramonto e sarò eternamente grata.

Andalucia: the Sound I need.

C.

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