E’ passato piu’ di un anno da quando le nostre vite sono state messe in stand-by, da quando questo maledetto mostro chiamato covid ci ha tolto la liberta’.
Ricordo che uno dei tanti diari che ha avuto da bambina inizio’ con un evento tragico per tutto il mondo cattolico, la morte di Giovanni Paolo II nel 2005, il Papa buono. Ricordo di pensare che stessi catturando tra quelle pagine un evento unico che avrebbe segnato una nuova era, ed io ero li’, che lasciavo tracce di questo evento, come gli storici, gli scriba, tra le mie parole da quattordicenne. Ho sempre trovato il coraggio di immortalare i momenti, di acchiaparli, farli miei, scriverne per rileggerli a distranza di anni. Quel diario credo di averlo perso o chissa’ dove e’ nascosto, eppure le mie parole sono li memore di un momento vissuto da una bambina che non sa ancora nulla del mondo.
Ed eccoci nel 2021. Quei momenti in cui scrivevo di questo Papa dalla faccia buona, sono finiti ed i miei nuovi “diari” iniziano con frasi come “Lockdown, come sopravvivere senza morire nell’intento”. Ed io che pensavo che parlare della morte di un Papa si trattasse di un evento epocale. Insomma questi anni di mille crisi una dietro l’altra e su piu’ fronti, ci insegnano che e’ bello avere 14 anni e che la notizia di una morte naturale (ok di un pontefice) faccia scalpore agli occhi innocenti di una bambina che si affaccia al mondo da dietro una finestra. Magari fosse tutte cosi’ le notizie in tv. I know, parlo como se avessi 70 anni. Ma cazzo, quanto me li sento addosso a volte.
Forse perche’ alla soglia dei 30 anni, quando la vita dovrebbe essere piena di opportunita’, invece che di fracassi globali, sono rinchiusa a casa a rimugirare da troppo tempo che nemmeno io stessa mi tollero piu’. Con quest’aria da drama queen. “Ma esci cazzo, invece di stare li a lamentarti” mi dico.
Tutta questa premessa pesante, per dire che nella mia “vuelta a la normalidad”, penso che vorrei avere 14 anni e non averla mai vissuta questa crisi. Cosi’ come tante altre cose, ma questa e’ un’altra storia.
La verita’ e’ non sento che sia finito tutto. Un expat che si e’ visto venir giu’ la vita ci pensa due, tre, cento volte prima di pensare che e’ tutto un lontano ricordo. Dunque, per rimanere fedele all’obbiettivo per cui e’ nato questo blog, ho deciso di raccogliere le esperienze degli espatriati impattati dal covid, principalmente qui a Barcellona, per facilita’, ma anche di altre citta’, e raccontare come e’ stata la loro vuelta a la normalidad.
Ieri ho conosciuto J. 34 anni, meta’ olandese, meta’ francese e con nonni italiani. Un mix di nazionalita’ che mi fa sentire cosi’ “normale” con il mio 100% di italianita’. J. lavorava in Olanda presso l’Universita’ di Amsterdam per tantissimi anni e si stava costruendo una vita li’. Per varie circostanze approda a Barcellona ed entra in uno di quei tipici call center terribili che non sono altro che dei tritacarne. Ma J. non demorde, vuole rifarsi una vita ed ha scelto Barcellona per il mare e la “buena onda”. Arriva il covid e J. perde il lavoro che le faceva schifo, capira’ solo dopo che le avevano fatto un gran favore. Inizia a fare merchandising di prodotti online e con la pandemia si rinventa Art director per una linea di prodotti di capelli di un’azienda, e nel frattempo crea il suo propio prodotto per haircare. Lei fa tutto, crea il prodotto, sviluppa il giro di clienti, crea contenuto online, crea il sito web e gestisce la vendita dei prodotti online.
J. non lo sa, ma la sua storia, cosi’ brevemente raccontata, rappresenta per me l’esempio dell’essere umano che dalle ceneri risorge. Che prende in mano la sua vita, crea prodotti, lancia campagne marketing e vende un prodotto unico. E’ sola, nessuno capisce perche’ si danni la vita. Non puoi cercarti un lavoro normale come tutti? le dicono. Chissa’ quante volte l’abbiamo sentita questa frase. Eppure lei, imperterrita va avanti, riuscendo a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Anche quando in pieno lockdown si ritrova sfrattata da casa con tutti i suoi averi dentro (serratura cambiata e addio chiavi!) ed e’ costretta a vivere per strada (spero non letteralmente, ma questo non lo so), lei si incazza perche’ per 20 giorni non aveva piu’ nemmeno i suoi prodotti da vendere, oggetto di sequestro nella casa casa in cui viveva. Alla fine, la nostra cara J. riesce a riappriopiarsi delle sue cose con vemenza e della sua vita. Addio gentaglia e fuck you covid.
Oggi J. lavora con me, sembra dura e fredda. Ma dietro quella corazza c’e’ solo un ‘altra expat con una vita difficile, con un bagaglio di merda sulle spalle, con storie senza senso ed altre bellissime. J. mi invita nella sua casetta al mare, dove vive adesso con persone normali. Non vende piu’ i suoi prodotti, ma e’ per lei adesso un bel passatempo da cui ha imparato tanto di se stessa e per se stessa. Credo che J. ed io avremo tanto di cui parlare, adesso che la “vuelta a la normalidad” le, o meglio ci, ha restituito un lavoro che ci rende felici.
Quindi e’ questo quello che sto facendo. E’ vero l’incubo non e’ finito, ma il mondo e’ ancora pieno di mille opportunita’, di tantissime che prima non esistevano. Viaggi da fare e prodotti nuovi da creare. E vengono fuori nuove persone, nuove storie, nuove dinamiche che possiamo vivere, non piu’ da dietro uno schermo.
La vita era solo in stand-by. E poi diciamocelo, forse quella normalita’ non era poi nemmeno un granche’.
La vuelta a la normalidad. Like I had one.
C.
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