Tenerife, improvvisare e’ l’unico piano

Ho pensato mille volte di farlo, prendere tutto e cambiare vita. Iniziare da zero. Riiniziare in un’isola. Circodata dal mare e dalle onde che spazzano via ogni paura, ogni ferita, ogni impotenza.

Dopo 2 anni con il covid nelle nostre vite, son tornata a viaggiare da sola. Dopo tanti cambiamenti considerevoli che mi hanno reso una expat diversa, molto piu’ introspettiva, molto piu’ selettiva e molto piu’ sola, torno ad affacciarmi al mondo, al non sapere che ne sara’ delle mie giornate, al “fidati nel tuo instinto”.

Ho messo in pausa tutto cio’ che mi circondava e me ne sono andata. Scomparsa tra quelle distese di piantagioni di banane e incredibili zone vulcannche, nere, incazzate. Un po’ come me.

Voglio un’avventura e la mia prima tappa e’ Garachico. Non so bene cosa aspettarmi. Non ho voluto painificare nulla. Voglio godermi ogni singolo istante delle mie giornate. Rigoberta Bandini canta “In Spain, we call it soledad”. E’ quello che cerco. Solitudine & pace. Son un vecchio lupo solitario che per troppo tempo ha dato a destra e manca, che ha spesso investito cosi’ tanta energia negli altri, che adesso e’ rimasto senza.

L’obbiettivo e’ non avere obbiettivi. Non pianificare. Non avere una meta precisa. “Que todo fluya” dicono in Spagna.

Garachico e’ una gemma perduta nell’Oceano Atlantico. Sono qui in questa terrazza, con questa vista e per la prima volta dopo tanto tempo mi sento davvero felice. Mi lascio cullare da quel vento e dalla brezza marina. Nulla mi fa piu’ paura. Tutto sembra essersi congelato nel tempo. Come uno di quei dipinti che provo a fare, ma non mi riesce mai bene.

Sono sola, ma presto saro’ in compagnia di un cielo stellato. E’ questa la felicita’, mi dico. Non ho bisogno di nient’altro.

Garachico from the top

La prima settimana e’ tutto meno che solitaria. Conosco un sacco di gente e mi immergo nella cultura canaria. Sono tutti estremamente gentili. Vivono vite semplici, fatte di cose semplici. C’e’ un ingrediente in comune che non manca in nessuna delle loro vite: il sale del mare. Tantissime attivita’ quotidiane girano attorno alla presenza del mare, della sabbia, delle sporche infradito squarciate dai sassi neri.

“L’isola dell’eterna primavera” mi dicono. La meteoropatica che c’e’ in me adesso sta letteralmente saltando di gioa e si prepara a dar fuoco alla pila di giacche e cappotti che ha nell’armadio.

E’ davvero tutto questo sufficiente per essere felici? Pare proprio di si.

Eppure io ancora non so rispondere a questa domanda.

La mia expat di questo capitolo non e’ esattamente un expat, ma e’ una “chica de peninsula” (della terra ferma), che si e’ trasferita a vivere su un’isola, qui a Tenerife. Mi sembra un cambio interessante da riportare. Non e’ la scelta usuale, anzi nessuno si spiega ancora perche’ C. abbia fatto questa scelta, da Malaga a Tenerife. Il percorso al contrario e’ quello che il mondo si aspetta, eppure C. e’ arrivata a Tenerife quando aveva 18 anni e 13 dopo e’ ancora qui’. Non l’ha mai lasciata.

Mi racconta che lei non ha bisogno della vita da citta’. Parla di se in un modo affascinante. E’ dura e si nota che esige molto da se stessa. Sembra impenetrabile con il suo modo di fare ma il mio sesto senso mi dice che e’ tutta una bella corazza. E’ introversa mi dice, eppure in un pomeriggio custodisco gia’ un tesoro di informazioni che mi hanno portata a scrivere di lei qui.

Si e’ aperta una bottega li’ a Garachico, a 31 anni. Ad alcuni puo’ sembrare una cosa da poco, eppure a me sembra una gigante questa malageña dalla faccia pulita ma incupita dalla fatica. E’ una giovane imprenditrice coraggiosa e lei ancora non lo sa. Eppure voleva fare l’artista da bambina. Mi mostra con cura i suoi disegni e per un attimo riesco a scorgere un po’ di nostalgia nelle sue parole. I ricordi dell’expat vengono fuori dagli oggetti piu’ inaspettati. Ti rircordano chi eri prima, i tuoi sogni da bambina innoncente per poi fare i conti con la realta’. Alcuni li hai realizzati, altri sono ancora li che aspetti che si realizzano. E di alcuni ti sei disfatta.

Chiude la carpetta piena dei suoi dipinti e con fare deciso mi dice “Poi ho capito che come artista avrei fatto la fame e allora c’ho abbandonato il pensiero”. In un attimo C. ha rimesso il suo passato nel posto che lei gli ha ritagliato. Dentro una vecchia carpetta scolorita, si scrolla di dosso quello che ormai non e’ piu’ parte del suo presente. La guardo mettere tutto al suo posto con cura e mi nutro di quella energia che fatico a trovare da tempo. Poi, come lei mi scrollo di dosso i miei di ricordi, quelli fastidiosi. Quelli che C. ed io non vogliamo piu’. Tutto sta nel saper chiudere una carpetta quella notte di settembre, con ancora 23 gradi fuori ed una pasta che ormai e’ diventata fredda e appiccicosa, mentre due sconosciute si raccontano la vita danzando su una linea sottile tra passato e presente.

Quando ci siamo salutate dopo una settimana, ho il ricordo di questo abbraccio freddo, ma di un freddo che dice “Ti abbraccio freddamente per non crollare”. Mi confessa che “ogni volta che qualcuno va via da qui, fa male per chi rimane”. Io e C. lo sappiamo bene, siamo abituate ai saluti, agli aeroporti, alle valigie e agli addii. Fa male anche a me cara C. non sapere piu’ delle tue nuove idee per come migliorare la bottega del paese e offrire agli abitanti solo prodotti di qualita’ e a prezzi ragionevoli. Fa male, ma passera’, perche’ con il tempo il dolore diventa parte di te e si sa, fa meno rumore. C’e’ e basta. Esiste.

Puerto de la Cruz. La seconda settimana a Tenerife e’ decisamente diversa. Non c’e’ spazio per altri expats nella mia vita. Esisto solo io con le mie mille me. Mi vizio in ogni forma che conosco. Mi prendo cura di me come non facevo da tanto, troppo tempo. Vado al mare a leggere, mi permetto i pasti piu’ gustosi, passeggio per il centro storico e osservo tutto cio’ che mi ricorda. Ascolto la musica che piu’ si sposa con il momento che sto vivendo, tra punti di partenza e punti di arrivo. Il viaggio che ho intrapreso e’ reale, in tutti i sensi. Sono a Tenerife e sto viaggiando fisicamente, ma c’e’ un altro viaggio in corso, uno molto piu’ profondo, doloroso e oscuro. Il viaggio con una me stessa che si mette a nudo e non ha paura di vedere tutta la zavorra accumulata. E’ ora di fare grandi pulizie.

Pare che la tempesta sia terminata. La barca ha traballato per mesi, ha preso botte dappertutto, si e’ scontrata contro gli scogli e ha perso tanti elementi portanti. Spesso e’ stata sul punto di essere risucchiata da mulinelli d’acqua, eppure la barca ha lottato per uscire dal vortice. Nascondeva delle forti impalcature.

Ora pero’ e’ il momento di godersi un po’ di quiete. Di spegnere i motori per un po’ e remare fino in riva.

Sono felice e in pace con me stessa. La spiaggia e’ vicina e sono pronta a lasciarmi cullare dalle onde della mia vita isolana.

Grazie Tenerife.

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